Portatore di Stendardo

portatore di stendardo

portatore di stendardo

Ogni processione dogale veniva aperta dagli stendardi.

Questi potevano essere assegnati solo da enti religiosi in segno di protezione a chi li portava, e rappresentavano un grandissimo valore; averne ben otto significava che per otto volte Venezia era stata paladina della cristianità. La difesa poteva avvenire in campo di battaglia, ma anche nella diffusione del Verbo. Una volta conferito lo stendardo andava ad arricchire il numero di quelli esistenti; per questo motivo la stessa città poteva averne più d’uno.

Il corteo veneziano veniva aperto da otto stendardi, due per colore:

  • bianco, simbolo di pace;
  • rosso, simbolo di guerra;
  • viola, simbolo di tregua;
  • azzurro scuro, una lega.

Il colore degli stendardi con cui si apriva il corteo indicava la posizione politica della Serenissima Repubblica, e doveva rispecchiare quello dei gonfaloni esposti sulla Piazza San Marco davanti alla basilica. Gli stendardi potevano essere portati solo dai “comandadori” che indossavano un mantello lungo sino a terra di colore turchino, con una ”berretta” di colore rosso, per essere differenziati da altri Nobili e liberi Cittadini che la indossavano nera, alla quale era attaccata una medaglia dorata, con il conio della moneta in corso.

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Suonatore di Tromba

A seguito dei porta stendardi troviamo i suonatori di tromba.

Il valore simbolico della tromba è grandissimo essendo la tromba il simbolo per eccellenza della divinità. Basti ricordare che saranno trombe ad annunciare il Giudizio Universale!

L’attribuzione di questo trionfo rientra nella leggenda alessandrina, dove si narra che all’arrivo di Alessandro III, il Doge e l’Imperatore, dopo la Pace di Costanza, Roma accolse il Papa con ben sei musici che suonavano lunghe trombe d’argento. Non appena il Papa vide le trombe ne fece dono al Doge, che così poté aggiungerle ai suoi trionfi. Essendo queste di misure eccezionali ogni suonatore era preceduto da un fanciullo che sorreggeva lo strumento.

Il suonatore di tromba, secondo la stampa del Pagan, indossa su una tunica in raso di seta color oro un lungo e ricco mantello di velluto rosso foderato anch’esso di raso di seta color oro, con berretta nera. Le descrizioni più tarde vedono i suonatori sempre riccamente vestiti questo per sottolineare l’importanza del Trionfo che avevano l’onore di portare e mostrare al pubblico. Persino i bambini, avendo il compito di sorreggere le trombe, erano vestiti d’oro, in questo modo alla loro innocenza si affiancava la luce divina.

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Suonatore di Piffero

suonatore di piffero

suonatore di piffero

In corteo, al seguito delle trombe, avremmo trovato i segretari degli ambasciatori e a seguire i pifferi. Tecnicamente il piffero non sarebbe un trionfo, ma il ruolo dei musici durante i cortei era talmente importante che si è deciso di includerli. Seguendo il ritmo dato dalla musica si muoveva tutta la processione. Le trombe enfatizzavano i momenti di pausa, quando si voleva attirare l’attenzione del pubblico, mentre erano i suonatori di piffero che suonando ininterrottamente per tutta la lunghezza del percorso evitando che la processione si fermasse o rallentasse prolungandone la durata.

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Portatore del Cero

portatore del cero

portatore del cero

Il segmento del corteo di pertinenza del doge si apriva con il portatore del cero.

Essendo Venezia una Repubblica i trionfi non divenivano mai proprietà personale del Doge, che per quanto importante, veniva  comunque considerato servitore della città (primus inter pares).

Unico trionfo pertinente alla sua figura, che quindi poteva essere esposto solo se il Principe presenziava al corteo,  era il cero.

Questo rappresentava il Doge stesso che illuminava con la sua rettitudine la città. L’uso del cero come simbolo di rettitudine deriva dal cerimoniale bizantino, e si perpetua a Venezia proprio per sottolineare la sua essenza di altera Bisantium.

Il manichino, come tutti i porta trionfi legati alla figura dogale, indossa un prezioso abito nero con tagli da cui si intravede la fodera d’oro. Entrambi questi dettagli sono un segno di grande ricchezza: tagliare un abito nuovo realizzato in velluto significava disporre di grandi capitali essendo il velluto sia preziosissimo che delicato. Se poi oltre il taglio si intravedeva l’oro possiamo immaginare l’effetto che dovesse fare sugli spettatori. La stessa scelta del colore nero e non del bruno era un ulteriore segno di potere, essendo il nero un costosissimo pigmento ottenuto bruciando il più prezioso dei colori. Per l’osservatore la parte centrale del corteo era un tripudio di oro e rosso messi in risalto dal nero, creando quasi un unico castone per il gioiello più importante: il Doge.

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Portatore della Pubblica Corona

portatore del corno ducale o pubblica corona

portatore del corno ducale o pubblica corona (Portatrionfi)

Se l’occasione era solenne al portatore del cero seguiva il portatore della “Publica Zogia” (gioiello), ossia il corno ducale dell’incoronazione. Questo copricapo non era quello che normalmente indossava il doge, anche perché viste le dimensioni sarebbe stato impossibile, che invece ne portava uno personale e di suo gusto. La corona pubblica apparteneva al tesoro di San Marco, ed il suo ruolo era rappresentare non solo la ricchezza della Serenissima, ma soprattutto la sua immanenza ed il carattere di Repubblica: il simbolo maggiore del potere infatti non apparteneva ad un soggetto particolare, e doveva essere arricchito con pietre donate da tutti i Dogi che si susseguivano sul solio ducale e da quelle più belle ottenute nelle razzie che i mercanti spesso facevano nei paesi orientali. Periodicamente il corno dell’incoronazione veniva rifatto, e questo onore spettava alle suore del convento di San Zaccaria che una volta l’anno lo ridonavano al doge abbellito ed arricchito.

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